INGRESSO NEL PROFILO FB O IN ALTRO SISTEMA INFORMATICO DEL CONIUGE IN CORSO DI SEPARAZIONE: TRA REATO DI ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO ED ESIGENZE PROBATORIE
L’art. 615 ter c.p. prevede e punisce il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico, che consiste nel fatto di chi si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo.
La pena è della reclusione fino a tre anni, ovvero da uno a cinque anni nel caso in cui sussista una delle aggravanti previste dal comma 2 dell’articolo in esame. Se il fatto riguarda un sistema informatico o telematico di interesse militare o relativo all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque è d’interesse pubblico la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni ovvero da tre ad otto anni.
Innanzitutto è opportuno chiarire che per sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza il legislatore ha inteso riferirsi all’insieme dei componenti funzionali di un calcolatore e dell’hardware ad esso associato, quindi sia al singolo pc o strumento informatico o telematico, sia al centro di elaborazioni dati più complesso e sofisticato.
Affinché la condotta prevista dalla norma incriminatrice sia integrata è necessario che il sistema de quo sia protetto da misure di sicurezza (password, credenziali, chiavi di accesso), esulando dalla condotta penalmente rilevante l’introduzione in sistemi informatici privi di protezione.
Il reato in esame può acquisire particolare interesse nell’ambito di una relazione conflittuale, giunta al termine, eventualmente poi sfociata in una separazione.
Specificatamente, in talune occasioni la giurisprudenza è stata chiamata a valutare l’integrazione del comportamento criminoso de quo nel caso del coniuge in fase di separazione che abbia acceduto al profilo Fb o al telefonino dell’altro, al fine di procurarsi prove circa una presunta relazione extraconiugale.
Con la sentenza n. 2905/2018, Cass. Pen. Sez. V, il giudice di legittimità ha affrontato il caso di un marito che, a conoscenza delle credenziali di accesso al profilo FB della moglie vi aveva acceduto, fotografando delle chat riservate della medesima con un altro uomo e producendole, poi, nel corso della causa di separazione, quale prova per ottenere la pronuncia di addebito.
Il giudice di legittimità ha ribadito quanto già era stato espresso in precedenza, seppur in un diverso contesto fattuale, anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: “la circostanza che il ricorrente fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico quand’anche fosse stata quest’ultima a renderle note ed a fornire, in passato, un’implicita autorizzazione all’accesso, non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi sub iudice. Mediante questi ultimi, infatti, si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ius excludendi alios, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate [omissis]”.
La pronuncia citata esprime principi fondamentali applicabili in via generale, sia nell’ambito di una relazione sentimentale, coniugale o meno, che in ambiti diversi.
La conoscenza della password o della chiave di accesso ad un sistema informatico, quale potrebbe essere FB, ma anche il conto corrente online o semplicemente il telefono cellulare, non autorizza chicchessia a farne uso in difformità a quella che poteva essere l’originaria autorizzazione del titolare.
Alla luce di quanto sopra sarà integrato, dunque, l’accesso abusivo a sistema informatico protetto da misure di sicurezza, per rimanere nel contesto coniugale, anche nel caso del coniuge che accede al conto corrente online dell’altro, pur avendo eventualmente ottenuto le credenziali legittimamente, per estrapolare e stampare gli estratti conto al fine di produrli nella causa di separazione, quale prova del reddito dell’altro.
Ovvero il coniuge che accede al telefono dell’altro protetto da misure di sicurezza e fotografa chat riservate o altri contenuti, sia che la password fosse stata o meno precedentemente fornita, per il solo fatto che l’ingresso devia rispetto alla motivazione di un’eventuale pregressa autorizzazione.
Per l’integrazione della fattispecie di reato in esame non rileva, comunque, la finalità della condotta, che ha valenza esclusiva nella sfera dell’autore.
Chiarito che il reato potrà essere integrato anche nell’ipotesi di previa conoscenza della misura di protezione, se si può ritenere che l’ingresso sia avvenuto inviso domino, a fortiori sussisterà nell’ipotesi in cui il sistema di protezione sia violato per avere l’autore dell’intromissione ottenuto le credenziali abusivamente o averle carpite in altro modo.
La procedibilità per il reato esaminato è a querela di parte nell’ipotesi semplice di cui al primo comma, mentre negli altri casi si procede d’ufficio.
Un cenno va fatto, in conclusione, alla eventuale utilizzabilità come prova di quanto ottenuto per mezzo di una condotta illecita. La Cassazione è concorde nel ritenere inutilizzabili, poichè acquisite in violazione dell’art. 615 bis c.p., le prove ottenute attraverso una interferenza illecita nella vita privata di un coniuge, tramite la registrazione delle conversazioni intrattenute, in ambito domestico, con un terzo. Lo stesso principio può senz’altro ritenersi applicabile anche all’ipotesi di prove acquisite mediante l’ingresso abusivo in un sistema informatico o telematico.