TRA DIRITTI DA TUTELARE E CULTURA DA DIFFONDERE
La legge n. 69 del 19 luglio 2019, comunemente detta Codice Rosso, viene emanata in Italia sulla scia di interventi in ambito internazionale ed europeo, susseguitisi a livello internazionale sin dal 1946 con la costituzione all’interno dell’ONU di una Commissione sullo Status delle Donne e successive Raccomandazioni.
L’antecedente normativo europeo temporalmente più prossimo del Codice Rosso è la Convenzione di Instanbul, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrata in vigore nell’agosto 2014, ratificata dall’Italia con la legge n. 77/2013.
E’ merito di tale normativa l’introduzione di reati specifici per la prevenzione e la repressione della violenza contro le donne e di genere.
La Convenzione di Instanbul parte dalla considerazione che la prevenzione della violenza di genere debba necessariamente transitare da un cambio di paradigma culturale volto a modificare i comportamenti di uomini e donne in modo da superare pregiudizi, consuetudini, tradizioni, fondate sull’idea della inferiorità della donna e sulla stereotipizzazione del ruolo femminile o maschile.
Di particolare rilievo è, poi, ai fini di un’accelerazione nella procedura di adozione del Codice Rosso, la sentenza “Talpis” del 2017, pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la quale l’Italia veniva condannata per non essere stata in grado di fornire alla vittima di un reato di violenza domestica e di genere adeguata protezione.
Con l’introduzione della legge n. 69/2019 il legislatore italiano ha voluto rafforzare, pertanto, la predetta tutela, sia sul piano sostanziale, introducendo nuove e specifiche fattispecie di reato, sia processuale, prevedendo misure volte ad accelerare la definizione dei procedimenti penali connotati da violenza di genere.
Con il Codice Rosso, inoltre, si è cercato di favorire l’aspetto formativo, nonché quello economico di sostegno alla vittima del reato.
Sul piano sostanziale sono stati introdotti quattro differenti fattispecie di reato:
- Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti ( c.d. revenge porn, art. 612 ter c.p.), condotta alla quale prima dell’entrata in vigore del Codice Rosso non era riconosciuto disvalore penale;
- Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583 quinquies c. p.), condotta che attualmente, dunque, costituisce fattispecie autonoma di reato con una pena pari nel massimo ad anni 14;
- Costrizione o induzione al matrimonio (art. 558 bis c. p.), condotta che è stata espressamente prevista come reato, seppur apparentemente anacronistica, in attuazione dell’art. 37 della Convenzione di Instanbul;
- Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis c. p.), condotta talmente diffusa da richiedere per il suo contenimento un’apposita previsione di reato, oltre ai rimedi tradizionali di tipo processuale, quali l’aggravamento della misura cautelare.
Sempre sul piano sostanziale la legge in questione è intervenuta su alcune fattispecie preesistenti, inasprendo le pene previste, così per il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), per il delitto di atti persecutori, comunemente noto come stalking (art. 612 bis c.p.), per quello di violenza sessuale (art. 609 bis e ss. c.p.), per il delitto di violenza sessuale di gruppo e di atti sessuali con minorenne (art. 609 octies e quater c. p.).
Il legislatore, inoltre, ha previsto un maggiore aggravamento della pena già prevista per il delitto di omicidio nel caso in cui la vittima sia persona stabilmente legata da relazione affettiva o convivente con l’autore del reato.
Dal punto di vista processuale oltre all’ampliamento della possibilità di applicare la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliare per il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il raddoppio del termine per presentare querela, che per i reati de quibus è, dunque, di dodici mesi ed, infine, la previsione dell’obbligo per il Giudice penale di trasmettere al Giudice civile gli atti del procedimento al fine di favorire il coordinamento tra le due Autorità.
Il legislatore ha, poi, voluto innalzare il livello di protezione della vittima di reati di violenza domestica o di genere attraverso l’introduzione di obblighi di comunicazione alla persona offesa ed al suo difensore dei provvedimenti di scarcerazione, di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive o interdittive, di applicazione di misure cautelari.
Con l’intento, poi, di limitare al massimo fenomeni di vittimizzazione secondaria, cioè di sottoposizione della vittima ad ulteriori conseguenze conseguenti al reato anche se non direttamente da esso, il legislatore ha previsto misure quali l’iscrizione privilegiata delle notizie di reato aventi ad oggetto reati di violenza domestica o di genere, la necessità che la persona offesa venga sentita entro 3 giorni dalla iscrizione della notizia di reato, evitando una pluralità di audizioni volte ad approfondimenti dei fatti.
Una posizione di particolare rilievo è data poi al recupero dei soggetti condannati per i reati di cui si tratta, nonché alla formazione specializzata per tutti coloro che operano in tale ambito, dai magistrati, alle forze dell’ordine, agli avvocati.
L’art. 19 della legge n. 69/2019, infine, modificando la precedente normativa relativa all’indennizzo per le vittime di reato, al fine di semplificarne la richiesta, ha individuato l’organo a cui rivolgersi nella Procura presso il Tribunale in luogo della Procura Generale presso la Corte d’Appello. Sono stati, inoltre, rivisti e rimodulati anche gli importi, aumentati rispetto a quelli previsti in precedenza.
La legge esaminata rappresenta senz’altro un notevole passo avanti nel contrasto alle condotte di violenza domestica e di genere, allineando l’Italia agli altri Paesi europei. Sarà però necessario che a quanto fatto legislativamente si affianchino sul territorio interventi di rafforzamento dei Servizi di sostegno, nonché formativi non solo per gli operatori, ma anche per i cittadini al fine di favorire l’accrescimento di una cultura del rispetto a prescindere dal genere, così come auspicato dalla Convenzione di Instanbul.