Il divorzio venne introdotto nel nostro ordinamento, con la legge 898/1970, entrata in vigore il 1° dicembre, modificata da ultimo dal D.Lgs. n. 21/2018. Fu un iter legislativo molto travagliato, in quanto la legge venne approvata nonostante l’opposizione dell’allora maggioranza, tant’è che nel 1974 si tenne un referendum abrogativo, in cui i cittadini si espressero a gran voce per il mantenimento dell’istituto.
Fino a quel momento, comunque, partendo dal presupposto che in ogni caso, salvi i casi previsti dal diritto ecclesiastico, il matrimonio religioso è indissolubile, non era possibile sciogliere il matrimonio contratto civilmente o far cessare gli effetti civili del matrimonio concordatario.
In base alla attuale disciplina i coniugi possono pervenire al divorzio solo allorché sussistano le condizioni previste dall’art. 3 della legge citata, che sono inderogabili e tassative.
Nel nostro ordinamento, in particolare, non è possibile addivenire direttamente ad una pronuncia di divorzio, salvi i casi previsti dalla legge. Non esiste cioè il divorzio diretto, se non in ipotesi eccezionali e tassative.
I casi nei quali è ammesso sono, infatti, espressamente e tassativamente previsti, anche se nella prassi quotidiana di difficile concretizzazione. A titolo esemplificativo si ricordano tra i più:
- la condanna del coniuge all’ergastolo;
- l’omicidio del figlio o il tentato omicidio del coniuge o del figlio;
- un procedimento penale per incesto; – mancata consumazione del matrimonio;
- passaggio in giudicato di una sentenza con la quale il coniuge ha ottenuto la rettifica di attribuzione di sesso. In tale ultimo caso, in mancanza di espressa richiesta da parte dell’altro coniuge, il matrimonio si convertirà in unione civile.
L’ipotesi più comune e diffusa di divorzio è quella preceduta dalla separazione personale dei coniugi, sia essa consensuale o giudiziale (art. 3, n. 2 lett. b).
In tal caso non è possibile ottenere direttamente la pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito dell’avvenuta separazione, ma è necessario che decorra un certo lasso temporale dalla pronuncia della medesima e che nelle more non sia stata ripresa la convivenza e non sia comunque possibile ricostituire “la comunione spirituale e materiale” tra i coniugi.
Nello specifico, così come previsto dalla norma indicata, è necessario che siano decorsi almeno 6 mesi dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, in sede di comparizione personale per il tentativo di conciliazione, nel caso di separazione consensuale e 12 mesi se la separazione è giudiziale.
Affinché possa essere depositata la richiesta di divorzio, altresì, la separazione consensuale deve essere stata omologata o la sentenza di separazione giudiziale essere passata in giudicato.
La richiesta di divorzio si presenta, in linea di massima, salvo quanto verrà detto infra, con l’assistenza di un legale tramite ricorso dinanzi al Giudice dell’ultima residenza comune dei coniugi, congiuntamente da entrambi (divorzio congiunto) ovvero solo da uno di essi (divorzio giudiziale).
Come per la separazione la mancata coincidenza delle volontà dei coniugi sullo scioglimento del vincolo, non impedisce all’altro coniuge di agire per ottenerlo giudizialmente.
L’accordo che costituisce il presupposto per un divorzio congiunto si riferisce, infatti, alle condizioni del divorzio e non all’istituto in sè.
Nel caso in cui le parti siano concordi sulle condizioni, o siano intenzionate a trovare una soluzione bonaria, potranno anche avvalersi dell’istituto della negoziazione assistita, introdotto nel nostro ordinamento con finalità deflattive (legge n. 162/2014), come modalità alternativa di risoluzione di talune controversie, tra cui anche quelle in materia di famiglia, per quanto attiene specificatamente ed esclusivamente alla separazione ed al divorzio.
Per garantire che tale procedimento stragiudiziale si svolga nel modo più corretto possibile ciascun coniuge dovrà nominare un proprio difensore, le parti dovranno sottoscrivere la convenzione di negoziazione assistita e l’accordo conclusivo dovrà essere redatto in un testo scritto, sul quale il Procuratore della Repubblica apporrà, se lo riterrà conforme alle disposizioni dell’ordinamento italiano, il proprio visto.
Una volta che il Giudice avrà pronunciato sentenza di divorzio e la stessa sarà passata in giudicato, ovvero si sarà perfezionato l’accordo tra le parti in sede di negoziazione assistita, la variazione di stato verrà trascritta nei registri di stato civile.
Dallo scioglimento del matrimonio civile o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario derivano effetti importanti: vengono meno tutti i doveri discendenti dal matrimonio, nonché i diritti successori dell’altro coniuge, la moglie perde il cognome del marito. Inoltre, ciascuno dei coniugi potrà contrarre nuovo matrimonio.
Nella sentenza di divorzio o nell’accordo di negoziazione assistita verranno, infine, regolamentate anche le vicende attinenti l’affido dei figli, l’assegnazione della casa coniugale, il mantenimento dei figli o del coniuge economicamente più debole.
Per completezza si evidenzia che a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 162/2014, se non vi sono figli, ovvero se vi sono figli maggiorenni ed economicamente autosufficienti, i coniugi potranno sottoscrivere un accordo di separazione o divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile in comune. Secondo la giurisprudenza l’accordo non deve contenere patti di trasferimento patrimoniale nè può prevedere un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico.
L’assistenza dell’avvocato in tale procedura è facoltativa.