L’istituto dell’affido condiviso è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 54/2006, ispirata al principio della bigenitorialità, intesa come diritto del figlio ad avere e mantenere rapporti equilibrati, stabili e continuativi con entrambi i genitori, quale parte del suo maggior diritto ad una propria vita familiare, previsto dall’art. 8 CEDU.
Per consentire il perseguimento di tale risultato il legislatore ha stabilito che il Giudice deve prioritariamente valutare la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (art. 337 ter c. c.) e solo nel caso in cui ciò non risponda al loro preminente interesse, potrà disporre l’affidamento esclusivo al genitore che risulti più adeguato in quanto a capacità genitoriale.
Con la legge n. 54, pertanto, in materia di affido di minori, la regola è quella dell’affido condiviso, mentre quello esclusivo rappresenta un’eccezione.
La successiva legge n. 154/2013 ha, poi, espressamente equiparato la posizione dei figli naturali, nati cioè da genitori non coniugati, a quella dei figli legittimi nati in costanza matrimonio, ai quali, pertanto, nel caso in cui i genitori decidano di interrompere la convivenza si applicano le stesse regole vigenti in caso di separazione coniugale.
Ai fini di una piena equiparazione il legislatore ha anche stabilito che l’Autorità giudicante sia la medesima per entrambe le situazioni, cioè il Tribunale ordinario.
Nonostante il giudizio sia affidato alla medesima Autorità giudiziaria, permangono, in realtà, differenze sostanziali nel rito applicabile, che, di fatto, rendono ancora lontana una reale equiparazione.
In ogni caso, per ciò che rileva in questa sede, si precisa che l’affido condiviso consiste nel diritto del minore a che entrambi i genitori assumano congiuntamente le decisioni che lo riguardano, con riferimento all’educazione, all’istruzione, alla religione, alle cure, alle attività da svolgere.
Ciascun genitore potrà assumere, invece, individualmente tutte le decisioni relative al minore inerenti la gestione quotidiana ed ordinaria.
Le modalità dell’affido non devono confondersi con la collocazione del minore.
Sebbene il minore sia affidato ad entrambi i genitori, ciò non significa che lo stesso debba trascorrere lo stesso periodo di tempo con l’uno e l’altro, ma semplicemente dovrà essere stabilita una suddivisione temporale equa e congrua, che tenga conto il più possibile della situazione preesistente alla crisi della famiglia e soprattutto, in via principale, dell’interesse del minore.
Quest’ultimo, pertanto, potrà essere collocato con prevalenza presso uno dei due genitori, ove verrà anche fissata la sua residenza, senza perciò che venga violata in alcun modo la ratio dell’affido condiviso, che è quella di garantire al minore che entrambi i genitori esercitino congiuntamente la responsabilità genitoriale.
La legge non stabilisce presso quale dei due genitori il minore dovrà essere collocato, non sussistendo un principio di “maternal o paternal preference”.
In mancanza di accordo tra i genitori, dunque, il Giudice dovrà valutare alla luce della organizzazione familiare precedente la separazione o la cessazione della convivenza di fatto ed individuare una soluzione che rispetti il più possibile le primarie esigenze del minore, anche alla luce della normativa internazionale (art. 3 Convenzione sui diritti del fanciullo).